Sebbene la Chiesa acquistasse, per le vesti ecclesiastiche, i preziosi damaschi e broccati con i quali erano confezionate le vesti profane, questo avveniva solo occasionalmente, poiché preferiva ricorrere al lusso raffinato dei parati ricamati eseguiti da botteghe specializzate.
Se molti ricami furono eseguiti da abili artigiani nelle botteghe specializzate, è, però, probabile che altri siano stati eseguiti nei conventi. Ad occuparsi di ricamo, come ci ricorda Elisa Ricci nel 1925, furono molte monache e suore di ordini femminili, come le Orsoline, le Carmelitane, le Visitandine e le Benedettine.
Se molti ricami furono eseguiti da abili artigiani nelle botteghe specializzate, è, però, probabile che altri siano stati eseguiti nei conventi. Ad occuparsi di ricamo, come ci ricorda Elisa Ricci nel 1925, furono molte monache e suore di ordini femminili, come le Orsoline, le Carmelitane, le Visitandine e le Benedettine.
A Santa Lucia del Mela, oltre ai conventi francescani dei Padri Conventuali, dei Minori Osservanti e dei Cappuccini, c’era il monastero delle Monache Benedettine, inaugurato il 23 febbraio dell’anno 1583, oggi non più esistente, in cui è presumibile si eseguissero ricami, come si può dedurre dal regesto manoscritto Giuliana di Notar Parisi, del 1783 conservato nell’Archivio Comunale di Santa Lucia del Mela. In seguito all’emanazione della legge sulla soppressione delle Corporazioni religiose del 7 luglio 1866, le monache, che svolgevano probabilmente il lavoro manuale all’interno del loro monastero, sembra si siano avvalse dell’art. 6 che, previa domanda individuale da formulare entro tre mesi, consentiva loro di rimanere nella casa o nella parte loro assegnata, il che si ricava da alcuni documenti trascritti nel 1980 da Mons. Salvatore Cambria nell’inedito Zibaldone Luciese, conservato dattiloscritto in Collezione privata. È noto che all’interno di ogni monastero esisteva una stanza da lavoro detta “lavorerio”, dove le gare di abilità fra queste donne dovevano essere di stimolo all’esecuzione mirabile di tanti lavori. Non dimentichiamo però che, almeno sino agli inizi dell’Ottocento, potevano essere ancora gli uomini a ricamare, com’è documentato non solo in Sicilia, ma anche in altre zone d’Italia i cui ricami siano stati studiati. Molti di questi parati utilizzano i punti e le tecniche descritte da Charles Germain di Saint-Aubin nel suo Trattato pubblicato nel 1770, uno dei più importanti testi sull’arte ricamatoria che vanta una lunga tradizione di pubblicazioni fino dagli anni Venti del Cinquecento. Il proliferare dei libri di modelli per ricami faceva sì che le tipologie disegnative e tecniche fossero conosciute attraverso numerose illustrazioni, utilizzando per i disegni la tecnica della xilografia. Gli ideatori dei cartoni per i ricami erano i pittori, che attraverso i disegni diffondevano anche le mode e le tecniche. La scarsità di disegni preparatori attribuibili con sicurezza, sia per i ricami sia per i tessuti, costituisce uno dei problemi per l’identificazione della manifattura, e quindi per l’identificazione delle aree di provenienza. Quando i ricamatori erano in possesso dei disegni, essi riuscivano a trasferirli a carboncino sul tessuto, magari rielaborando parzialmente la composizione creando nuove soluzioni. I motivi decorativi – floreal-vegetali, cristologici, architettonici, araldici – erano eseguiti con l’abilità acquisita con l’esperienza che affinava il gusto nella scelta e nell’impiego dei colori e dei fili metallici secondo l’importanza della commissione.
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