mercoledì 10 agosto 2011

Prelatura Nullius di Santa Lucia del Mela

Paramenti sacri ricamati e dipinti
A Santa Lucia del Mela, rinomato centro messinese
di Rosalba Gitto


Santa Lucia del Mela, alla quale fa capo uno dei territori più estesi tra i comuni siciliani non capoluoghi di provincia, è una cittadina che si affaccia sul Tirreno, situata in una vallata tra i monti Peloritani e due fiumare, in provincia di Messina: il Floripotema e il Mela, nome che deriva dal greco melas, nero, per il colore delle sabbie dell’alveo della fiumara. Forse Ovidio sembrerebbe alludere alla fiumara del Mela in Fasti IV 476. Lo sviluppo di questo centro peloritano si arrestò, quando nel VII secolo si intensificarono le invasioni barbariche, al punto che durante l’Alto Medioevo la zona vide solo piccoli nuclei abitati. Per tale ragione quello sparuto gruppo di case, ancora per tutto il Medioevo, fu chiamato Casale. Tuttora ne resta il ricordo in un’omonima contrada. Gli Arabi occuparono l’antico Casale dall’ 837, fondando un primo nucleo della futura cittadina e il Castello in cima al colle Mankarru. Al 1094 risale la prima edificazione di un tempio votivo ai piedi del colle di Casale – l’attuale basilica Concattedrale di Santa Lucia del Mela – voluto dal normanno Conte Ruggero d’Altavilla, che impegnato nel piano di ricristianizzazione della Sicilia dopo la dominazione araba, lo dedicò a Santa Lucia Vedova Romana, cui era molto devoto. Da Ruggero in poi il nome di Santa Lucia sostituì quello di Casale. Più tardi la fiumara del Mela diede una migliore identificazione al paese nell’insieme delle numerose località italiane votate alla Santa Lucia. Nel 1206 Federico II di Svevia recatosi in Santa Lucia, lo definì urbs deliciae nostrae, luogo di regali delizie. La sua presenza nella cittadina diede un notevole impulso all’espansione urbanistica, arricchendola di preziosi saggi di architettura normanna. A lui si devono, oltre all’incremento degli opifici per la tessitura dell’Isola, anche istituzioni ecclesiastiche. Egli insignì Santa Lucia di un privilegio notevole, facendola divenire prima Prelatura Nullius Diocesis di tutto il mondo cattolico, dipendente direttamente dalla Santa Sede e da nessun’altra diocesi, sede del Cappellano Maggiore del Regno di Sicilia, beneficiaria di privilegi e onori esclusivi e intimamente legata a Palermo da dove provennero molti dei suoi prelati. Dall’ottobre del 1986 la Prelatura è stata congiunta all’Arcidiocesi di Messina.

Basilica Cattedrale di Santa Lucia del Mela

Oggi l’economia è prettamente agricola, ma non più fiorente come in passato, quando prosperava grazie al commercio della seta. In diverse contrade si coltivavano i gelsi, le cui foglie servivano al nutrimento dei bachi, dai quali si ricavava una seta molto pregiata.
A Santa Lucia Vedova Romana e a Santa Lucia Vergine e Martire Siracusana fu intitolata la Basilica Cattedrale di origine normanna (1094), riedificata nel secolo XVII sulle fondamenta del tempio ruggeriano e dedicata a Santa Maria Assunta. Vicino ad essa sorge il Palazzo Prelatizio, dove un tempo risiedevano i Prelati.
Negli edifici si conservano numerosi cimeli storici ed artistici, fra i quali una preziosa collezione di paramenti liturgici databili dal XVI al XX secolo. Essi costituiscono un interessante repertorio delle varie tipologie disegnative e tecniche – da quelle più antiche, a maglie, alle varie fasi del bizarre, del naturalismo, del Revel, seguite dall’impostazione a meandro, dal trionfo dello stile Impero, dai revival ottocenteschi e infine dal movimento modernista secondo cui l’arte ornamentale è posta sullo stesso piano della tecnica. La raccolta, che abbiamo schedato, è costituita da 254 pezzi inediti, ed in particolare da vesti, rappresentate da piviali, pianete, tonacelle, veli omerali, stole, manipoli, mitrie, grembiali e cingoli; da elementi processionali, come baldacchini, ombrelli e stendardi, accessori e da arredi d’altare, come conopei di pisside, di tabernacolo e paliotti.

La parte preponderante del patrimonio d’arte tessile è composta da tessuti in seta, nelle diverse armature: taffettà, raso, damasco, grò marezzato, broccatello, lampasso a trame broccate in oro, argento e seta policroma. Un altro gruppo, di alta qualità, è costituito da paramenti e arredi ricamati.
L’opulenza dei paramenti liturgici dipende spesso, oltre che dal tessuto utilizzato, proprio dal ricamo eseguito in filati metallici pregiati e in sete policrome. Purtroppo, operazioni di riporto per il riutilizzo di taluni ricami e di sostituzione di tessuti di base originari logorati dall’uso, hanno talvolta mutato radicalmente i tagli sartoriali, hanno adattato i contorni del ricamo e ritoccato i disegni e le decorazioni, pur conservando i dati formali.La preziosità dei paramenti liturgici della Cattedrale di Santa Lucia del Mela, si potrebbe far risalire in gran parte all’attività dei laboratori di ricamo del rinomato centro messinese. Una campionatura di esemplari che va oltre il 1822, anno in cui a Messina furono abolite tutte le maestranze, attesta l’originalità dei ricami eseguiti fino a quella data da operai specializzati che appartenevano a corporazioni regolate da rigidi statuti.

"Arte ricamatoria" Trattato di Charles Germain di Saint-Aubin

Sebbene la Chiesa acquistasse, per le vesti ecclesiastiche, i preziosi damaschi e broccati con i quali erano confezionate le vesti profane, questo avveniva solo occasionalmente, poiché preferiva ricorrere al lusso raffinato dei parati ricamati eseguiti da botteghe specializzate.

Se molti ricami furono eseguiti da abili artigiani nelle botteghe specializzate, è, però, probabile che altri siano stati eseguiti nei conventi. Ad occuparsi di ricamo, come ci ricorda Elisa Ricci nel 1925, furono molte monache e suore di ordini femminili, come le Orsoline, le Carmelitane, le Visitandine e le Benedettine.
A Santa Lucia del Mela, oltre ai conventi francescani dei Padri Conventuali, dei Minori Osservanti e dei Cappuccini, c’era il monastero delle Monache Benedettine, inaugurato il 23 febbraio dell’anno 1583, oggi non più esistente, in cui è presumibile si eseguissero ricami, come si può dedurre dal regesto manoscritto Giuliana di Notar Parisi, del 1783 conservato nell’Archivio Comunale di Santa Lucia del Mela. In seguito all’emanazione della legge sulla soppressione delle Corporazioni religiose del 7 luglio 1866, le monache, che svolgevano probabilmente il lavoro manuale all’interno del loro monastero, sembra si siano avvalse dell’art. 6 che, previa domanda individuale da formulare entro tre mesi, consentiva loro di rimanere nella casa o nella parte loro assegnata, il che si ricava da alcuni documenti trascritti nel 1980 da Mons. Salvatore Cambria nell’inedito Zibaldone Luciese, conservato dattiloscritto in Collezione privata. È noto che all’interno di ogni monastero esisteva una stanza da lavoro detta “lavorerio”, dove le gare di abilità fra queste donne dovevano essere di stimolo all’esecuzione mirabile di tanti lavori. Non dimentichiamo però che, almeno sino agli inizi dell’Ottocento, potevano essere ancora gli uomini a ricamare, com’è documentato non solo in Sicilia, ma anche in altre zone d’Italia i cui ricami siano stati studiati. Molti di questi parati utilizzano i punti e le tecniche descritte da Charles Germain di Saint-Aubin nel suo Trattato pubblicato nel 1770, uno dei più importanti testi sull’arte ricamatoria che vanta una lunga tradizione di pubblicazioni fino dagli anni Venti del Cinquecento. Il proliferare dei libri di modelli per ricami faceva sì che le tipologie disegnative e tecniche fossero conosciute attraverso numerose illustrazioni, utilizzando per i disegni la tecnica della xilografia. Gli ideatori dei cartoni per i ricami erano i pittori, che attraverso i disegni diffondevano anche le mode e le tecniche. La scarsità di disegni preparatori attribuibili con sicurezza, sia per i ricami sia per i tessuti, costituisce uno dei problemi per l’identificazione della manifattura, e quindi per l’identificazione delle aree di provenienza. Quando i ricamatori erano in possesso dei disegni, essi riuscivano a trasferirli a carboncino sul tessuto, magari rielaborando parzialmente la composizione creando nuove soluzioni. I motivi decorativi – floreal-vegetali, cristologici, architettonici, araldici – erano eseguiti con l’abilità acquisita con l’esperienza che affinava il gusto nella scelta e nell’impiego dei colori e dei fili metallici secondo l’importanza della commissione.

Maria Accascina "Arti decorative"



La Sicilia, connotata da un ceto nobiliare fortemente attratto dalla “cultura delle apparenze” e da una sontuosa ritualità liturgica, è probabilmente una delle regioni più ricche di elevate testimonianze di arte ricamatoria e tessile. A prestare attenzione all’arte tessile della Sicilia, è stata Maria Accascina (1898-1979), una fra i maggiori protagonisti della storiografia artistica siciliana, alla quale si devono consistenti e innovativi contributi sull’argomento.
I paramenti ricamati dell’antica Prelatura, di notevole interesse storico e artistico, sia che provengano da botteghe artigiane specializzate o da ambiti religiosi, hanno la caratteristica comune di essere strettamente affini con la produzione tessile e l’oreficeria. Da esse derivano motivi decorativi, elementi preziosi e metalli nobili come l’oro e l’argento impiegati, insieme ai fili di seta policroma, sotto varie specie preparate dai battiloro e dai tiraloro.
La documentazione, al momento rintracciata, rende nota la situazione del patrimonio tessile negli anni Quaranta del Settecento, anche se la presenza di capi del XVI e XVII secolo testimonia, seppur parzialmente, lo stato precedente. Durante la Regia visita di Mons. Gian Angelo De Ciocchis del 24 maggio del 1742, fu stilato un inventario relativo ai beni posseduti dalla Chiesa Cattedrale, pubblicato quasi un secolo dopo, esattamente nel 1836. Sotto la voce Jocalia, et Supellectilia si menzionano i paramenti secondo i colori: nero, viola, verde, bianco e rosso. Per il colore nero si enumerano “casubole di damasco numero quattro con quattro stole, e quattro manipoli di laniglia”; per il color “violace”: “Uno stolone per uso del Diacono”; per il color verde: “Un solio per Mons. Ill.mo”. Fra le vesti di colore bianco è ricordata “Un altra casupola ricamata di seta, ed oro” nella quale potrebbe riconoscersi una Pianeta in taffettà di seta bianca ricamata in seta policroma, oro e argento filato e lamellare, della prima metà del XVIII secolo, in cui l’impianto decorativo dell’ornato è specularmente disposto attorno ad un asse centrale, così come avviene nei tessili con motivo a pizzo. L’ornamentazione a elementi floreali e vegetali – fiori e frutti di melograno, esili fiordalisi, peonie, margherite – che si ripete ad intervalli regolari con studiata simmetria ed estrema delicatezza, nei colori rosa chiaro, bianco panna, violetto, arancio, verde cedro e azzurro, oltre al riverbero delle paillettes, dei fili e delle lamelle d’oro e d’argento, si staglia su tutta la superficie della pianeta, rendendola più brillante e luminosa, attraverso una ricca varietà di punti: lanciato, diviso, raso, piatto, a fili distesi con fermature a nodi orizzontali, a stuoia, a spina di pesce, a cordoncino obliquo e in diagonale, creando una soluzione di notevole bellezza.

La Pianeta in gros de Tours rosa, databile alla seconda metà del XVIII secolo, è una delle vesti assegnabile al periodo Rococò, in cui l’impianto ornamentale è studiato secondo un’ampia struttura centralizzata che occupa tutta la superficie della pianeta, oltrepassando nello sviluppo anche la consueta impostazione di croce e colonna, ugualmente suggerita da un ricamo con motivo a spina di pesce che imita la presenza dei galloni. In basso alla colonna posteriore, da una fioriera baccellata circondata da un diramarsi di tralci piumati con fiori di melograno che formano ampi girali, si succedono rocailles campite da griglie romboidali. Molto varia ed elegante è la maniera di ricamare con il bianco dell’argento e il giallo dell’oro e della canutiglia. Il contrasto colore-materia di questi fili metallici impiegati con la tecnica del punto posato e fermati attraverso un’innumerevole varietà di punti, come il punto affondato, il punto pieno su imbottitura di fili di seta avorio, a stuoia, a nodi orizzontali, a finta rete, a spina di pesce, a spirale, a cordoncino obliquo e in diagonale, crea un piacevole gioco di luci e ombre che conferisce ai motivi decorativi un effetto tridimensionale unico nel suo genere. È come se i tralci piumati che si sviluppano dalla fioriera baccellata fossero nastri trapuntati, allucciolati e arricciati, dove tutta l’attenzione è richiamata dall’esuberanza e dalla sontuosità dell’insieme ricco, colorato e vario.

Pertanto, la soluzione disegnativa del ricamo qui esaminato è riconducibile ad una tipologia, molto diffusa nel Settecento, che tendeva ad una distribuzione abbastanza regolare dei motivi decorativi vegetali o floreali, e risponde pienamente ai canoni decorativi cari al barocchetto siciliano della metà del Settecento, risentendo dell’influenza stilistica francese che ebbe ampia diffusione anche in Italia, differenziandosi da regione a regione. Non a caso si rilevano stringenti analogie con le due dalmatiche della Diocesi di Caltanissetta risalenti alla metà del XVIII secolo.

"Madonna del Rosario" di Deodato Guinaccia



La grande inventiva e l’opulenza che i ricamatori siciliani offrono, sono presenti anche nei manufatti ricamati e in parte dipinti, come nel Conopeo di tabernacolo in cannellé laminato di colore avorio, databile verso la fine del Settecento. È un manufatto di straordinaria fattura, la cui eleganza è affidata ai diversi giochi luministici prodotti da una trama supplementare in argento lamellare che ricopre tutta la superficie e dalla varietà di materiali impiegati nel ricamo. Tutto ciò rende realistici i fiori dai colori variopinti e dalle ricche sfumature che inseriscono entro una cornice ovale le figure di san Domenico e della Madonna del Rosario col Bambino. Le corone dorate, i capelli di San Domenico, alcuni petali di fiori, le nuvole e la cornice ovale, sono realizzati anch’essi a ricamo con il punto posato che, con l’elaborazione dei diversi punti di fermatura, produce particolari disegni geometrici: a stuoia, a zig-zag, a linee parallele e in diagonale. Un cordonetto in argento filato profila in parte le decorazioni. I panneggi e le vesti sono resi dalla campitura a punto raso, piatto e lanciato. La canutiglia e le paillettes creano l’effetto della cintura che cinge la veste della Madonna e dei grani del rosario che san Domenico riceve genuflesso sul prato, su cui giacciono un libro e il giglio del campo, questi ultimi attributi di san Domenico. Gli effetti dell’incarnato sono invece affidati al taffettà dipinto applicato sul fondo cannellé. Delicati bouquets floreali con nodo d’amore si collocano agli angoli del conopeo, i cui bordi sono delimitati da una frangia in seta gialla e argento dorato filato. La decorazione spicca per i preziosismi chiaroscurali resi dall’ampio, ma calibrato uso dei fili preziosi e delle sete policrome intonate su tenui sfumature di rosa, di azzurro e di verde, producendo un effetto non lontano da quello che il point-rentré, ideato da Jean Revel, determina nei tessuti del Settecento. La cornice floreale inquadra, al centro, una scena probabilmente desunta da un modello pittorico cinquecentesco, un quadro d’altare dipinto da Deodato Guinaccia nel 1574, collocato dietro l’altare maggiore nell’Oratorio del Rosario, chiesa dalla quale si presume che il conopeo possa provenire.
Propone elementi decorativi con la stesura di lamine d’oro, il Paliotto dipinto ad olio su canovaccio,
databile tra la seconda metà del Seicento e la prima metà del Settecento, con L’andata al Calvario che raffigura Gesù nel momento in cui la Veronica si accinge ad asciugargli il volto. La scena, pur con alcune varianti nelle figure, è una rivisitazione dell’opera di Raffaello L’andata al Calvario detta Lo Spasmo di Sicilia (1516-1517, Madrid, Museo del Prado) che l’artista inviò a Palermo, dove rimase sino alla metà del XVII secolo. Rispetto al modello, questa è impreziosita dagli elementi decorativi entro i quali la scena è inquadrata. Foglie piumate con lumeggiature dorate, campite da motivi fitomorfi che si dispongono su griglie romboidali, risaltano sui toni azzurri e sul rosso intenso delle figure e dello sfondo, simbolo del sangue di Cristo. La scansione geometrica entro questi motivi ornamentali richiama la tipologia disegnativa a rete diffusa, in numerose varianti, su diverse tipologie tessili dal XVI al XVII secolo.

Oro, argento e seta policroma

La prassi di porre raffigurazioni pittoriche al centro di manufatti ricamati, sostituendo ricami figurati con parti dipinte, diviene consueta sin dalla seconda metà del Seicento e si protrae fino all’Ottocento inoltrato, come può vedersi in altri paliotti d’altare di ambito siciliano in cui la tecnica del ricamo si trova combinata con quella del dipinto.
Il Paliotto in taffettà di seta bianca, datato 1819, è un esempio della ripresa ottocentesca di immagini sacre, scene o simboli religiosi, inseriti in architetture con visioni prospettiche di arcate e colonne, di fregi con paraste e rosoni, di vasi con fiori naturalistici – peonie, tulipani – e di panneggi che interpretano felicemente il gusto neoclassico. La decorazione, infatti, recupera, alla luce delle nuove esperienze stilistiche, motivi che furono del vasto repertorio tardo rinascimentale, combinati in una composizione studiata, equilibrata e contemporaneamente sfarzosa. Il disegno, nitido e armonioso, attraverso linee rette, archi a tutto sesto e una volta a crociera, costruisce un’imponente scenografia. Sorprendentemente varia è la tecnica del ricamo che attraverso l’uso di canutiglia, paillettes, fili di seta policroma, d’oro e d’argento, riesce a creare rilievi di luci e ombre con il forte contrasto di colori sontuosi – rossi, azzurri, grigi, neri – ben armonizzati e con l’uso sapiente dei punti raso, filza, a nodi francesi e posato con varie fermature. La struttura architettonica ricorda la sezione trasversale di una chiesa a tre navate, con al centro la Madonna col Bambino, sotto la volta a crociera. Vi si può però vedere anche un arco di trionfo a tre cornici separate da paraste che sostengono una trabeazione con fregio. Chiesa ed arco di trionfo coincidono con evidente valore simbolico, allusivo al trionfo della Vergine figura della Chiesa. Al centro del fregio, costituito da rosoni su fondo reticolato distanziati da triglifi, è inserito un cartiglio con l’iscrizione
Sancta Maria Sacratissimi Rosari 1819. L’immagine della Madonna del Rosario con il Bambino, entrambi coi volti dipinti, è posta su una base che reca il nome di Don Gaetano Marchese Governatore, che si potrebbe identificare con il committente, forse in carica come governatore di una compagnia religiosa, e che probabilmente donò il paliotto all’Oratorio del Rosario, edificato all’epoca della Battaglia di Lepanto. Le colonne sono definite da galloni tessuti a telaio in argento filato e seta avorio che, oltre a guarnire il manufatto, coprono le cuciture di congiunzione tra le porzioni di tessuto. I panneggi delle tre arcate sono delimitati da un delicato merletto lavorato a fuselli in oro lamellare e filato avvolto su anima di seta gialla, successivamente applicato al tessuto.
Anche nella lavorazione dei merletti la Sicilia si annoverava tra i maggiori centri di produzione, oltre a Venezia, Milano, Genova, agli Abruzzi e alle Marche.

La tipologia del ricamo policromo dai decisi toni pittorici e naturalistici, nel secondo Paliotto ricamato con supporto in taffettà di seta bianca, databile al secolo XIX, si limita alle figure della Madonna col Bambino e alle teste di cherubini inquadrati entro un medaglione ogivale. Si rintraccia il medesimo uso del taffettà dipinto per definire gli incarnati e la diffusa campitura a punto raso per i panneggi.
Il restante ricamo è interamente realizzato con lustrini, lamine e argento nelle diverse varietà di filato, semplice, frisé, lamellare, applicato con la tecnica del punto pieno su imbottitura con fili di canapa e del punto posato articolato da una serie di punti di fermatura con motivo a stuoia, a strega, a spina di pesce e in diagonale. Il gusto neoclassico si rintraccia nella bicromia dei materiali usati, nella seta bianca di fondo e nell’argento filato, nelle forme stilizzate di foglie e fiori che ormai si allontanano dalla realtà e nel ricorso a motivi geometrizzanti che fanno da base a slanciate anfore biansate desunte dal mondo classico, interpretato ora secondo il nuovo gusto.
Questi esemplari di vesti liturgiche ed arredi sacri ricamati sono stati qui illustrati per dare un primo assaggio su un patrimonio tessile sul quale, dopo la schedatura effettuata come mia tesi di laurea, si stanno attualmente compiendo un’analisi tecnica e una ricerca di carattere storico, in fase già avanzata, nella convinzione che ogni notizia rintracciabile sui tessili e sui ricami possa fornire sempre più elementi utili per una loro migliore conoscenza e conservazione.

Bibliografia Arte Sacra

Bibliografia essenziale

M. ACCASCINA, Ori, stoffe e ricami nei paesi delle Madonie, in «Bollettino d’Arte»,
XXXI, 1938, ser. III, n. VII, pp. 305-17.

I. BIGAZZI, “Ricami d’ogni sorte, d’oro, d’argento e seta”, in
La grande storia dell’Artigianato. Il Seicento e il Settecento, a cura di R. Spinelli, Firenze 2002, vol. V.

C.G. DE SAINT-AUBIN, Dessinateur du Roi, L’art du Brodeur, Parigi 1770,
ed. anastatica a cura di E. Maeder, Los Angeles 1983.

D. DEVOTI, L’arte del tessuto in Europa, Milano 1974, ed. consultata 1993.

La seta e la Sicilia, a cura di C. Ciolino, catalogo della mostra 9 febbraio-15 marzo 2002, Palermo 2002.

C. MAGGIO, Breve storia della città di S. Lucia del Mela e guida pratica per le sue chiese e monumenti,
con postille aggiunte e correzioni di Gaetano La Corte Cailler, Messina 1917.

Magnificenza nell’arte tessile della Sicilia centro-meridionale. Ricami,
sete e broccati delle Diocesi di Caltanissetta e Piazza Armerina, a cura di G. Cantelli, Palermo 2000.

S. MULLER-CHRISTESEN, Materiale e Tecnica, in Il ricamo nella storia e nell’arte,
a cura di M. Schuette, S. Muller-Christensen, Roma 1963.

E. RICCI, Ricami italiani antichi e moderni, Firenze 1925.



INFORMAZIONI E CONTATTI:

Rosalba Gitto
2003 – Laurea in Lettere Moderne indirizzo storico-artistico, Università degli Studi di Firenze. Tesi: “Paramenti Sacri della Prelatura Nullius di Santa Lucia del Mela in provincia di Messina”,
relatrice Prof.ssa Isabella Bigazzi – correlatrice Prof.ssa Dora Liscia Bemporad.

13/10/2003-24/10/2003 – Frequenta il I stage del corso “Analisi e Riconoscimento dei tessuti”,
Fondazione Arte della Seta Lisio, Firenze.

15/03/2004/-26/03/2004 – Frequenta il II stage del corso “Analisi e Riconoscimento dei tessuti”, “Riconoscimento dei punti e delle tecniche del ricamo”,
Fondazione Arte della Seta Lisio, Firenze.



rosalba.gitto@alice.it